La concezione interna ed esterna dei modi
Si è spesso affermato che il sistema modale fu chiaramente il fondamento della «polifonia vocale classica». La più comune obiezione a questa idea è che esistono contraddizioni di ogni tipo nelle fonti teoriche. E la più comune confutazione è che queste contraddizioni sorgono a livello del discorso intellettuale e non della pratica musicale. Ma, per seguire l’importante distinzione di Harold Powers, il sistema modale non è oggettivo («etic»), ma mutuato da un altro contesto culturale («emic») ...
Ma il mio proposito non è solo di mettere in guardia da una lettura ‘pro-modale’;desidero rivolgermi anche al partito ‘anti-modale’. Alla domanda retorica «il modo è reale?» Powers ha risposto con un ben argomentato «no». Eppure la risposta a questa domanda, benché a molti di noi appaia valida riguardo ai procedimenti analitici, non può essere applicata universalmente. Senza dubbio Aaron, una fonte importante per le argomentazioni di Powers, si sorprenderebbe di questa conclusione. Per lui e per i suoi contemporanei la ‘realtà’ dei modi in quanto tale era fuori discussione. Il problema è piuttosto quale forma questa realtà assumesse in differenti circostanze.
Per gli obiettivi di questo articolo, vorrei riformulare così la domanda di Powers, «Quanto era reale il modo?», assumendo come punto di riferimento la«mente musicale» emic piuttosto che «l’opera musicale» etic. Credo che buona parte della risposta – e una risposta esaustiva va oltre lo scopo di questo articolo – possa trovarsi nella varietà, nelle contraddizioni o nella confusione (qualunque sia il termine preferito) mostrate dalle fonti testuali e musicali. E ritengo anche che ciò possa condurre, alla fine, a una più equilibrata applicazione dei modi nell’analisi.
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