Recensioni a John Butt, Playing with history. The historical approach to musical performance
Il saggio di Butt verte sull’approccio storico all’esecuzione musicale la historically informed performance – d’ora in poi HIP – o, in altri termini, come recita il sottotitolo, lo historical approach to musical performance. Non a caso Butt, classe 1960, è attivo anche come organista e clavicembalista e ha dedicato buona parte dei suoi studi a Bach, pubblicando Bach interpretation: articulation marks in the sources of J. S. Bach (1990) e Music education and the art of peformance in the German Baroque (1994). Non poteva per questo non avvertire il lieve senso di disagio che coglie anche i musicologi più onnivori quando si entra nel terreno ambiguo e sfuggente dell’interpretazione e porta loro inevitabilmente alla domanda: “Si tratta di un argomento musicologico?”.
Problemi e dubbi acuiti nel caso della “esecuzione storicamente informata”, un contesto molto eterogeneo e ultra-artigianale che per decenni ha costituito una sorta di riserva indiana per un numero ristretto di interpreti ed ensembles, gelosissimi e specializzatissimi. L’autore, che ha mosso i suoi primi passi da interprete e studioso nei fatidici anni 1980, conosce bene le diffidenze della musicologia e i dubbi sulla consistenza scientifica che hanno accompagnato tutta la storia della HIP. Spostandosi in California, qualche anno dopo, Butt scopre che la HIP è saldamente collocata all’interno del più ampio ed eterogeneo contesto della controcultura statunitense, assieme ai post-hippies, i post-freaks, Kurt Vonnegut, Noam Chomsky, pacifisti, ecologisti, etc. e che, musicalmente parlando, sta accanto a Harry Partch e Frank Zappa. Negli USA, Butt entra in contatto anche con il lavoro di due importanti, forse insostituibili, musicologi: Joseph Kerman e Richard Taruskin. In particolare, a colpire Butt è il fatto che Taruskin consideri la HIP una delle tante facce del modernismo. O forse del postmodernismo ...
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