I Solfeggi di Leo e lo studio della forma nella scuola napoletana del Settecento
Le biblioteche musicali italiane ed europee conservano un gran numero di manoscritti settecenteschi schedati sotto il nome di “solfeggi”. Tali brani provengono, per la maggior parte, dai conservatori napoletani di Santa Maria di Loreto, dei Poveri di Gesù Cristo, della Pietà dei Turchini, di Sant’Onofrio a Capuana e dal successivo Real Collegio di Musica e sono solitamente per una o più voci e basso continuo, senza testo. Quale fosse esattamente la funzione dei solfeggi non è chiaro. La maggior parte delle fonti documentarie, come vedremo più avanti, contribuisce a collegarli alla scuola di canto e, di conseguenza, a considerarli come esercizi preparatori all’esecuzione del repertorio vocale. Una delle prime testimonianze sul legame tra i solfeggi e la didattica del belcanto è data da Giambattista Mancini, allievo di Leonardo Leo, che nel 1777 scrive le Riflessioni pratiche sul canto figurato.