Diminuzione, improvvisazione e virtuosismo: i trattati italiani della seconda metà del Cinquecento e le nuove concezioni melodiche dell’età barocca
Alle fonti teoriche tradizionali, in affanno di fronte ai rapidi mutamenti estetici e compositivi che trasformeranno di lì a poco l’orizzonte musicale dei secoli successivi, si contrappone un’altra produzione teorica, talvolta considerata “minore”, profondamente diversa per formazione degli autori, scelta degli argomenti, caratteristiche dell’esposizione e destinazione d’uso. Nella seconda parte del Cinquecento la pubblicazione e l’ampia diffusione di una serie di trattati di ridotte dimensioni, rivolti ad un pubblico più ampio, che condensano spesso in poche pagine le tecniche e le prassi del far musica dell’epoca, si pone come evento centrale nella storia della teoria musicale determinando una novità talmente importante nel campo della produzione teorica da poter parlare quasi di una vera e propria “scissione” nel mondo teorico del Cinquecento. A latere di una trattatistica teorica di matrice classica seppur rivolta ad un cauto adeguamento dei temi ereditati dalla tradizione medioevale, fa la sua comparsa la produzione di teorici-musicisti quali, ad esempio, Sylvestro di Ganassi, Diego Ortiz, Girolamo Dalla Casa e Agostino Agazzari, ovvero strumentisti, cantanti e compositori attivi presso le cappelle e le corti di importanti città italiane. Tale produzione determina uno stravolgimento degli argomenti solitamente affrontati dalla teoria musicale: disinteressandosi delle questioni matematico-filosofiche ed eliminando completamente il tradizionale riferimento agli aspetti proporzionali di derivazione pitagorica, la nuova trattatistica italiana descrive con un linguaggio semplice e diretto l’uso di specifici strumenti, le prassi esecutive e quant’altro era considerato utile al musicista di quel tempo.